Le stelle di Capo Gelsomino sono portavoci di storie e di teneri intrecci.
Le geografie si mescolano ma il cielo è il medesimo per le tre donne protagoniste del romanzo; per loro Sardegna e Lombardia sono due terre in apparente opposizione ma che si scoprono simili nel corso della narrazione, di entrambe hanno bisogno per vivere e per crescere. L’Isola dà la vita, dispensa consigli e amore proprio come Lulù, Luisa Dettori, ostetrica condotta “suprema sacerdotessa delle nascite”. A volte però la terra sarda si trasforma in matrigna con una forza centrifuga così potente da allontanare chi ci è nato o chi ci vive. È questo il caso di Marianna, figlia di Lulù, che scappa in “continente” per fuggire da se stessa e dall’ambiente familiare.
Al contrario di sua figlia Chiara dal cuore sardo che asseconda il richiamo di una terra numinosa: la Sardegna ha sempre esercitato su di lei la forza magnetica e centripeta capace di accogliere i figli dispersi che prima o poi tornano a ritrovare le proprie radici per assaporare la felicità. La Lombardia, colta e sofisticata, osserva le vicissitudini del trio dando a suo modo nutrimento: a Marianna ha insegnato metodo e rigore indispensabile per il suo lavoro di ginecologa e ricercatrice. È un territorio che può offrire benessere, cultura e mille possibilità dal quale però ci si allontana quando la nostalgia dei legami provenienti da una infanzia mai sopita impediscono di vivere serenamente. Esclusione o inclusione, appartenenza o estraneità ai luoghi e ai vincoli sentimentali che plasmano le interiorità: un sentire che i personaggi provano a fasi alterne della loro vita. È Chiara, la più giovane protagonista del romanzo di Elvira Serra, quasi un alter-ego della scrittrice e giornalista nuorese, a tenere le redini degli affetti e a scoprire con caparbietà i segreti di famiglia.
Nel suo desiderio di ricucire i frammenti che le appartengono riecheggia il monito de Il giorno del giudizio dello scrittore sardo Salvatore Satta:
«Per conoscersi bisogna svolgere la propria vita fino in fondo, fino al momento in cui si cala nella fossa. E anche allora bisogna che ci sia uno che raccolga, ti risusciti, ti racconti a te stesso e agli altri come in giudizio finale».
Salvatore Satta
Così l’io narrante ci guida e lo svelamento dei personaggi è una progressione di scoperte, fiori che sbocciano assecondando i ritmi della natura.
L’amore scorre come l’acqua, filo conduttore della storia fin dai suoi esordi. Profonda conoscitrice dei suoi poteri è Lulù, la nonna magica di Capo Gelsomino, quasi una messicana curandera che utilizza l’acqua per risolvere qualsiasi malanno. E non può essere altrimenti, l’elemento generatore è il liquido amniotico delle puerpere che si affidano alle sue cure. Prezioso alimento in una terra che conosce il dramma della siccità. È l’acqua infatti che asseconda i destini, s’ingrossa in mare aperto e spinge la navigazione. Al di là del mare Lulù incontrerà il suo Vittorio Manconi, l’atleta gigante che in epoca di guerra ha lavorato come idraulico. L’acqua si espande e dalla terra natia approda a Milano, sui Navigli per fare da scenario alle camminate riflessive di Chiara, per poi continuare il suo percorso espatriando in Giappone e fermandosi, per poco, nei mari blu della Grecia. Il romanzo è un canto corale che sfida la ruggine del tempo e salda la memoria dei ricordi. Non solo Luisa, Marianna e Chiara, sono tante le donne che si passano il testimone per intrecciare meglio i fili delle vicende, ognuna con un ruolo ben preciso. L’iniziazione alla vita non è un perfetto corso da seguire nelle prestigiose università del nord Italia ma ha il sapore, i colori e le imperfezioni di una terra arcaica che trasmette i valori dell’identità.
«Non avevo bisogno di leggere un libro, sotto il cielo esagerato. Non mi serviva la storia di un altro, dovevo rientrare nella mia, riprenderla fino a quel momento. Ricollezionavo preziosi istanti, sentendomi dentro la natura in modo perfetto. Combaciavo con l’aria, con le sdraio, con gli alberi e il cielo. Dei nostri detti, questo era il più profondo. Non avrei saputo tradurlo in parole: io appartengo a quel luogo, quel luogo a me».
Articolo di ALICE GUERRIERI
(In copertina: foto di Raffaele Auteri)
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Alice Guerrieri è nata a Varese nel 1981. Laureata in Storia dell’Arte, vive tra Otranto e Varese e Cagliari, dove lavora all’Università. Nel 2000 e nel 2002 è stata finalista del Premio Chiara Giovani e nel 2007 ha vinto il Premio Letterario Editoriale “L’ Autore” di Firenze per la sezione saggistica con l’opera La donna nella pittura di Giuseppe De Nittis, l’arte, la moda e la vie moderne poi pubblicata nel 2010 dall’editore Maremmi di Firenze. Nel 2014 ha pubblicato il suo primo romanzo, Parigi. Solo andata.